Luigi Einaudi e l’attuale crisi finanziaria

par Damiano Mazzotti
martedì 11 agosto 2009

Luigi Einaudi è stato un grande Presidente della Repubblica e un grande economista che riteneva che il compito vero dello studioso fosse quello di aiutare i cittadini a comprendere i fatti che accadono (www.centroeinaudi.it).

Einaudi considerava il liberalismo come il progresso della civiltà legato “ad un’azione intelligente dello Stato nel tenere a freno gli egoismi individuali e di classe… nel tutelare gli interessi collettivi, nell’impedire una troppo grande disparità di punto di partenza fra gli uomini all’inizio della loro vita e dall’altro lato ad una sempre maggiore libertà di iniziativa, di movimento, di ricerca di idee e di prodotti nuovi lasciata agli individui, compatibilmente con la necessità superiore di non recare danno agli altri” (1919).

E i maldestri gestori dell’economia finanziaria di oggi dovrebbero riflettere attentamente su questa affermazione: “Il capitale esistente (la forza morta) è nulla in confronto al capitale nuovo, il vero capitale futuro che nasce dalla produzione, che incessantemente deve rinnovarlo, vivificarlo”.

Inoltre bisogna considerare che l’imposta non distrugge valore, ma “dà modo allo stato di agire come fattore di produzione” e creatore di nuovi valori: le varie forme di applicazione della giustizia sociale, i servizi educativi, gli investimenti in ricerca e sviluppo, ecc. L’arte del politico in uno Stato Liberale dovrebbe “consistere nello scoprire il punto critico al di là del quale l’imposta, crescendo ancora, deprimerebbe l’interesse a risparmiare e l’interesse alle nuove iniziative”. Direi che in Italia questo limite è già stato superato da alcuni anni e ha ingessato l’economia e ha contribuito ad allargare la Black Economy (secondo l’Eurispes l’economia in nero arriva in Italia fino al 28 per cento del prodotto interno lordo). Tassare il lavoro salariato e l’utile aziendale più delle rendite finanziarie, significa deviare di continuo troppa liquidità in attività improduttive e speculative, creando bolle finanziarie pericolosissime. Einaudi pensava che lo stato liberale dovesse operare seguendo una “teoria dei limiti”. Del resto, sia il comunismo che il capitalismo monopolistico (e oligopolistico) uniformano e conformano le azioni e i pensieri degli uomini, distruggendo la gioia di vivere e di creare (1937). “Lo spirito, se è libero, crea un’economia varia, in cui coesistono proprietà privata e proprietà di gruppi, di corpi, di amministrazioni statali”, cooperative, artigiani, professionisti, artisti, ecc.

Della rivoluzione russa disse: la nazionalizzazione delle banche, la cessazione forzosa dei pagamenti, il saccheggio delle riserve auree “hanno distrutto ogni fiducia nell’avvenire. Non si ha più interesse a produrre, non si ha più stimolo a risparmiare”. Le conseguenze sono disorganizzazione e carestia, “che ucciderà più della guerra” (1918). Si creano nuove oligarchie: “finti operai, lavoratori della chiacchiera e rifiuti della borghesia che si erigono a vindici dei diritti del proletariato” sono “lo stato maggiore governante russo… Per quanto imperfettamente applicato, il governo della cosa pubblica nell’interesse comune presta il fianco a minore abusi ed è assai più vantaggioso alle masse che non il governo di una classe” (o di una casta o di più caste).

Dopotutto in ogni paese, comunista, socialista, capitalista (o l’anarco-liberista e catto-comunista Italia), “Non è libero l’uomo il quale trema al cenno del superiore che gli può togliere il mezzo di procacciare pane a sé ed ai figli; e la suprema libertà, quella di pensare ed operare in conformità ai dettami della coscienza morale, diventa l’appannaggio di alcuni pochi eroi anacoreti”.

Comunque, il grande studioso affermò che “La gioia più pura che può provare un cuore umano è quella di essere costretti poco a poco dalle argomentazioni altrui a confessare a se stessi di avere, in tutto o in parte, torto e accedere, facendola propria, alla opinione di uomini più saggi di noi”.

E adesso è meglio ritornare ai nostri tempi. Quasi nessuno si sta accorgendo che siamo molti vicini a una catastrofe finanziaria globale, per cui riporto il pensiero di uno dei pochi economisti che con le sue precedenti previsioni si è dimostrato in grado di esercitare un mestiere quasi impossibile:

Una riorganizzazione fallimentare «è una cosa molto semplice da fare», ha spiegato LaRouche. «Prendiamo tutte queste rivendicazioni finanziarie nei confronti degli Stati Uniti, le mettiamo sul tavolo. Poi, prendiamo il modello Glass-Steagall e diciamo: ‘qui c’è una banca commerciale, o soleva esserlo nel passato. Guardiamo che c’è dentro. E’ questo titolo valido secondo questi standard? Si? Bene, va qui. Non lo è? Bene, lo mettiamo nel cestino della spazzatura’. E passiamo al vaglio tutto caso per caso, nello stesso modo in cui Roosevelt, nel mezzo di un problema ben più mite, fece con la Banking Holiday», la vacanza forzata delle banche.

Vogliamo salvare i risparmi delle famiglie, ha detto LaRouche, il credito alle imprese, i mutui e tutte le funzioni da banca commerciale che sono essenziali per la vita delle comunità. «Poi prendiamo tutta la spazzatura, queste rivendicazioni basate su derivati finanziari e altri schemi simili: ’sorry, amico! Hai fatto una scommessa. Questi sono debiti da scommessa – hai perso la scommessa’».

Una volta che abbiamo ripulito il sistema dal «bad debt», possiamo creare debito per lo sviluppo. Gli Stati Uniti dovranno stipulare un «accordo pilota» con la Russia, la Cina e l’India, per stabilire «un nuovo sistema creditizio mondiale, che sostituisca interamente il sistema monetario esistente, irrimediabilmente in bancarotta». «Quindi genereremo prestiti a lungo termine, al tasso dell’1,5%-2%, tra le nazioni, basati su sistemi creditizi. Questi prestiti saranno in gran parte diretti a [finanziare] un volano di progresso tecnologico nelle infrastrutture economiche di base» (tratto dal sito www.movisol.org, 06-08-2009).

Commento: come disse Thomas Mann, “Una verità nociva è meglio di una bugia utile”. E purtroppo “il genio o il demone della politica e il dio dell’amore vivono in un intimo reciproco contrasto che può in ogni momento erompere in un conflitto insanabile” (Max Weber, La politica come professione). Quindi la migliore politica è dire l’amara verità (Amian Azzott).

 P. S. La sintesi del pensiero di Luigi Einaudi è stata tratta da un saggio di Roberto Marchionatti (in “La forza dei bisogni e le ragioni della libertà, www.diabasis.it, 2009), professore di Economia politica all’Università di Torino, coordinatore della Scuola di dottorato in Economia della complessità e della creatività di Torino, nonché direttore del Centro Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia politica “Claudio Napoleoni”: www.cesmep.unito.it.


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