Anarchia, e che il Mediterraneo sia non una bara
par Doriana Goracci
venerdì 18 dicembre 2009
Se non c’è la finestra di una questura a disposizione, per uccidere un uomo libero va bene anche il letto di contenzione di un ospedale psichiatrico.
Anarchia: definire questa parola è già confinare, esattamente quello che ogni donna e uomo libero non vorrebbe. Ma l’uso è invalso nel tempo, nel senso più dispregiativo e distruttivo.
Il 6 settembre 2009 Michele Fabiani, detto Mec, pubblica "Sperimentiamo l’Anarchia", un libro che è un insieme di articoli e riflessioni, scritto prima, durante e dopo il carcere, accusato di far parte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata Coop-Fai (Contro ogni ordine politico, Federazione Anarchica Informale). E’ molto giovane, nato a febbraio del 1987: quanti lo conoscono? La questura, sicuramente bene.
Il 10 dicembre 2009 la Federazione Anarchica Torinese, FAI, scrive: “Torino. Cà Neira è stata sgomberata, ma non finisce qui. Giovedì 10 dicembre, ore 6. Digos e agenti in assetto antisommossa buttano giù la porta di Cà Neira, il posto occupato domenica 6 dicembre dalla FAI torinese. I compagni all’interno vengono denunciati per invasione di edificio. Il tam tam della solidarietà scatta subito. Arrivano compagni a dare una mano a portare via tavoli, stufe, libri, cucine e brande. Contemporaneamente, la polizia si presenta in forze anche all’Ostile, occupato tre settimane prima. Sei persone salgono sul tetto e lo stabile viene invaso dalle forze del disordine statale. Mentre scriviamo, i sei sono ancora sul tetto. Non si può dire che a Cà Neira questo sgombero giunga inatteso. Molti consideravano una vergogna che un edificio pubblico fosse abbandonato al degrado e all’incuria ed hanno apprezzato che qualcuno, rimboccandosi le maniche, lo stesse ristrutturando per renderlo agibile”. Molti? Leggo: “Giovedì hanno sgomberato nello stesso giorno Cà Neira e l’Ostile. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco. All’Ostile sei occupanti hanno resistito sul tetto per un’intera giornata prima di venire tirati giù, mentre in strada le camionette impazzavano contro quelli che si erano radunati in solidarietà. A Cà Neira, in via Zandonai, l’ex scuola che abbiamo occupato la scorsa settimana, hanno fatto più in fretta ma il giorno stesso sono stati obbligati a impiegare la celere in assetto anti-sommossa per sgomberarci dall’ex cinema Zeta, che abbiamo occupato a poche ore dal primo sgombero. Oggi, come nel Sessantanove delle stragi e dell’assassinio di Pinelli, la criminalità del potere è sempre la stessa. Oggi come allora chi lotta per una società più giusta e più libera fa paura, viene criminalizzato e represso. Il filo della memoria di quella lontana stagione, a volte sfilacciato ed esausto, si rinvigorisce ogni giorno. In ogni luogo dove cresce la resistenza alla barbarie in cui siamo immersi”.
E le donne, quelle libere, dove trovarle? Dicono che “durante la rivoluzione spagnola del 1936-39, diverse decine di migliaia di donne, soprattutto operaie, presero il loro destino in mano e "si aprirono come delle rose" nel vortice della più grande rivoluzione sociale di tutti i tempi. Il loro movimento, le "Mujeres Libres", le "Donne Libere", è semplicemente unico nella storia dell’umanità. Unico perché popolare, profondamente radicato nella lotta sociale e nella quotidianità del processo di emancipazione delle donne. Unico perché rivoluzionario e risolutamente anticapitalista. Unico perché agli antipodi, da un lato, di un femminismo borghese sordo nei confronti delle condizioni sociali dell’oppressione femminile e, dall’altro, di un femminismo marxista cieco davanti all’esigenza di liberazione sessuale, politica, egualitaria e libertaria insita nel processo di emancipazione delle donne. Unico perché inesorabilmente libertario nella sua lotta per la "liberazione" dai lacci patriarcali, nonostante disconoscimenti vari. Talmente unico che è sempre stato occultato: l’esperienza delle "Mujeres Libres" non ha mai smesso né smetterà di disturbare”.
Forse come Emma Goldman? “Nota per il suo attivismo appassionato, il suo temperamento indomabile, l’audacia delle sue campagne sul controllo delle nascite e il libero amore, il rigore della sua lotta contro la coscrizione e la guerra, il prezzo altissimo pagato per le sue idee. Il sentiero tracciato da Emma Goldman stessa nell’autobiografia, "Vivendo la mia vita", l’avventura eroica di una donna, ebrea, immigrata, anarchica che seppe aderire nella propria vita ai propri ideali. Già negli anni Trenta, Emma Goldman era diventata una figura mitica, un’icona, il simbolo della fierezza anarchica”.
Nel 2004, Arianna Fiore su "Rivista Anarchica 2004" riporta integralmente: “L’utopia permanente. Un vecchio anarchico spagnolo ricorda la rivoluzione del ‘36″, incontro con Abel Paz, detto Diego Camach.
L’incontro cominciò curiosamente così: “Vorrei iniziare questa conferenza ringraziandovi per la vostra presenza, e soprattutto le donne, che sono molto più numerose degli uomini. Non so come mai, ma alle donne interessa l’anarchismo molto più che agli uomini e questo è molto importante perché alla fin dei conti la donna è il motore della storia. Fino ad oggi la donna non ha contato molto nella storia, si è arrivati perfino a credere che non avesse l’anima”. E segue non solo un’ironica storia sul Concilio di Trento, i cardinali e le donne, ma su molte altre cose di non piccolo conto: un documento da leggere, tutto.
Dove trovare, ritrovare queste "Anime Salve"? Sono solo passaggi e passaggi di tempo? Il discorso sulla libertà descritto e cantato da De Andrè l’ho ritrovato dunque in questo video, girato in un’aula, realizzato per l’esame orale della maturità: “L’individualità, complessa nelle sue forme di semplice esistenza, e la collettività, divisa tra acqua e olio”.
E allora da una parte la storia di donne e uomini che si emancipano insieme e dall’altra oggi, una sorta di devastatrici indignate e distruttori di cassonetti e banche. Cos’è che sappiamo fare, quale rivoluzione quotidiana in nome della libertà portiamo avanti? Resistenza, alcuni sono convinti di averla fatta anche a migliaia, a Roma, nelle migliaia di manifestazioni e presidi di questi 40 anni. Basta?
Dalla Terra di Puglia arrivano rivendicazioni contrattuali, richiesta di pane e lavoro, riapertura di fabbriche. Questa è la riappropriazione, la lotta che ci aspetta? Questa è la sinistra pronta alla conta delle vittime del sistema tutto? Dalla terra di Puglia mi arrivano come remi di una barca, come braccia e mani e volti, la testimonianza di donne e uomini, ormai quasi tutte e tutti scomparsi: "Gli anarchici a Canosa di Puglia. Straordinario documento originale sull’attività degli anarchici canosini nel 1968". Dove ci siamo dispersi, dove la solitudine diventa collettività di sapere e fare, piacere di disporre del tempo libero, che non è quello concesso dal padrone di turno?